Riaprire un cinema è come inaugurarlo la prima volta.
Sabato 7 maggio alle 18, quando dopo tre mesi e mezzo la sala Macchi di Filmstudio 90 si è riaccesa con Sole alto, mi è parso di sentire lo stesso odore che ricordo la prima volta che mio padre mi portò al cinema Orfeo in una domenica mattina splendida e tarantina. Avevo cinque anni e fui sorpreso dal velluto.
Filmstudio non ha l’odore di quel velluto. Le poltroncine sono in tela e gli unici drappi che chiudono le finestre su via De Cristoforis pesano 23 anni e hanno la fragranza del tempo. Ma se le sensazioni tornano vivide dopo una gioia intensa o un evento doloroso, questo percorrere l’anticamera del cineclub e sedersi in ultima fila a film iniziato, dopo aver toccato i sigilli il 21 gennaio e masticato amaro per la sgradevole sensazione di essere stati confinati fuori casa, si è caricato di un valore rielaborativo inedito, come fosse esperienza post-traumatica alleggerita dall’incanto di un sogno edificante.
In sala c’era davvero odore di velluto, la proiezione sembrava girare a 24 fotogrammi di pellicola al secondo, il rumore – ci giurerei – quello ancestrale di un proiettore 35 mm, le quattro persone presenti alla prima proiezione, dopo il vuoto il freddo lo schermo nero della chiusura, compagni di serate d’essai, pronti a smontare il giocattolo cinema.
4 (solo quattro!) paganti, come un piccolo club che comincia in sordina, timidamente con proiezioni di cinema d’avanguardia. La sordina applicata con cura ai trambusti dei tamburini (sconsigliati), affidando ai fiati corti dei primi passaparola la voce che “Filmstudio 90 riapre“, con i diffidenti (e disillusi) che replicano con il beneficio del dubbio. “Ma sì, c’è Sole alto!, sole Alto su Filmstudio“, e su tutti i film che avremmo voluto vedere e non abbiamo visto ma vorremmo recuperare, uno dietro l’altro, dalla mattina alla notte, una scorpacciata fino all’indigestione, come una magnifica prima volta bulimica a liberarci da un incubo.
Bentornati.
Alessandro Leone