Era il film che la stampa di mezzo paese (e non soltanto quella che seguiva Venezia 2015) aveva caldeggiato come la rivelazione dell’anno, cioè quella pellicola capace di raccontare, in modo filologicamente corretto, aderente alla realtà, attento ai fatti, il tentativo di insabbiamento che la Chiesa Cattolica di Boston operò nei confronti dei preti accusati di pedofilia. Un argomento spinoso, complesso, variegato che nondimeno il Boston Globe ebbe il merito di portare alla luce ancora nel lontano 2001, e dal quale prese piede la catena di eventi terrificanti che scossero il Vaticano fino alle fondamenta. Il caso Spotlight ricostruisce questa roba qui, il lavoro febbrile di redazione, flussi di dati che si incrociano su scrivanie addobbate con grossi monitor dei tempi andati, giornalisti che scavano tra le sottane di sacerdoti all’apparenza innocui, alla ricerca di una confessione, un’ammissione di colpevolezza, un parziale riconoscimento delle proprie malefatte. Tom McCarthy è un nome sconosciuto al grande pubblico, anche se ben radicato nella macchina cinematografica americana: non soltanto è stato uno dei soggettisti del cartone animato Up (2009) e attore di una molteplicità di pellicole commerciali, ma nel corso della sua carriera ha diretto alcuni film non troppo noti ma con attori di forte impatto: Mosse vincenti (2011) con Paul Giamatti o The Cobbler (2014) con Adam Sandler. La sua bravura è perciò tutta di superficie, il che non è necessariamente una critica, ma forse neppure un complimento.
Questo suo ennesimo film raccoglie un magic team di attori hollywoodiani, tutti oliati e calibrati, a partire da Mark Ruffalo (che qui interpreta Michael Rezendes, reporter dagli alti principi), Rachael McAdams (Sacha Pfeiffer, la biondina bella), Liev Schreiber (Marty Baron, l’articolista cogitabondo e lanuto), Michael Keaton (Walter Robinson, da lui cominciò l’indagine). Insieme formano una squadra, appunto quella del caso Spotlight, che inizia con il raccogliere le testimonianze di molti giovani abusati ancora in età preadolescenziale, e le cui vicende di ordinaria violenza furono occultate dalla diocesi locale con cospicui risarcimenti alle famiglie. McCarthy non dirige un thriller giudiziario, e nemmeno un giallo giornalistico. La sua concezione del cinema, almeno in questa pellicola, è calligrafica, manichea, a suo modo dogmatica, un po’ come poteva esserlo un certo cinema di Lizzani nel tratteggiare nettamente la linea d’ombra che divide il Bene dal Male, che separa la luce dalle tenebre. Lo scopo del suo lavoro non è tanto chiarire le circostanze che spinsero parte della diocesi di Boston a spostare, a trasferire i propri sacerdoti in odore di pedofilia, quanto inscenare, cioè mettere in scena, pianificare, ricostruire un movimento di opinione partito dal Boston Globe e fattosi poi virale, spalleggiato dai lettori, dai media, dalla gente comune, persino dagli stessi membri del clero. Il risultato è quanto meno curioso, a detta di chi scrive difficilmente credibile, dal momento che parliamo di decine (centinaia?) di preti pedofili soltanto nell’area di Boston. Il regista non mette in dubbio nessun dato, forgia le sue e le nostre opinioni per partito preso, cioè associando il rapporto sessuale con un minore alla pedofilia, rendendo perciò matematica l’equazione il sacerdote sta alla pedofilia come la Chiesa sta al suo insabbiamento. Se poi vogliamo fare i pedanti, moltissime di queste presunte vittime, forse la maggior parte, era già in età adolescenziale, e quindi proprio di bambini non si trattava, ma appunto di minori, ragazzetti non dissimili da quelli che Pier Paolo Pasolini, insegnante prima e intellettuale impegnato poi, concupiva regolarmente per le strade della Roma di borgata.
Perché Pasolini poteva fare quello che faceva, in nome di un forse anche giusto principio etico per il quale il minore può avere diritto a una propria sessualità, mentre un prete sbaglia a prescindere? D’accordo, si tratta di un sacerdote, non una persona qualsiasi, ma un educatore, un pedagogo con delle responsabilità morali a cui i genitori affidano i loro figli. Ma davvero un sacerdote deve pagare più di tutti gli altri? Stiamo attenti a non dimenticarci che i casi di pedofilia (presunta e reale) nella Chiesa Cattolica non sono statisticamente più o meno elevati di quelli rilevati in qualsiasi altro contesto sociale. McCarthy gioca in casa, la butta sul tragico, condisce il tutto con la sua dose di melodramma, e il film è bello che servito per un pubblico incapace di separare il grano dalla pula. La paura della caccia alle streghe è sempre dietro l’angolo, la Storia ce lo insegna.
Marco Marchetti
Regia: Tom McCharty. Sceneggiatura: Tom McCharty, John Singer. Fotografia: Masanobu Takayanagi. Montaggio: Tom McArdle. Musica: Howard Shore. Interpreti: Mark Ruffalo, Liev Schreiber, Michael Keaton, Rachel McAdams, Stanley Tucci. Origine: USA. Anno: 2015. Durata: 128 min.