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The Tribe

tribeUno spazio silenziosissimo, dove gli unici rumori sono i suoni dell’ambiente e gli individui non comunicano se non a segni. Uno spazio che è anche una scuola con un cortile, delle camerate, lunghi e asettici corridoi in cui si perdono decine di studenti senza affetti né radici. Una scuola che è al contempo patria e orfanotrofio, uno di quegli istituti per disagiati che un tempo si chiamavano case famiglia, ma che in realtà è una grandissima discarica di esseri umani, minorenni e ragazzini. Ci si arrabbia con un’alzata delle mani, si ride di una battuta con un cenno del volto, si odia per mezzo di quelle dita d’improvviso strette a pugno e pronte a scagliarsi sul prossimo, a colpirlo, a ucciderlo se necessario. All’inizio pensi di trovarti in un centro d’accoglienza per sordomuti, ma poi scopri che è proprio il mondo che non parla e che questi ragazzi di strada non sono altro che la metafora di una Ucraina lacerata da guerre tribali e fratricide, priva di identità e del tutto incapace di recuperarne una.

tribe2Succede di tutto in questa grande scuola: pochissimi gli educatori, assenti i dirigenti, non c’è un preside capace di mantenere l’ordine. La violenza deflagra, e non fa sconti a nessuno: siamo più o meno dalle parti di A Blast o della recente nouvelle vague greca, giovanotti che si pestano come bistecche, (si) derubano e si fanno i dispetti l’un con l’altro, ragazze che si prostituiscono con i camionisti nei parcheggi, papponi di primo pelo che si contendono il mercato dello sfruttamento. Tutti si massacrano tra loro, fanno sesso senza troppe censure, dormono ammassati peggio dei topi e cagano pubblicamente in gabinetti privi di porte. Come gli antichi romani, direte. No, quelli si sedevano e si lavavano, questi usano ancora le turche. Il peggio dello schifo. C’è un tizio schiacciato da un camion, una meretrice a gambe aperte che subisce un aborto da una mammana zozza come una fattucchiera (anche qui senza troppe censure), infine un po’ di teste spappolate tipo cocomero, sangue e cervella ovunque. Un delirio formalmente ineccepibile, potente come un orgasmo, doloroso come un calcio tra i denti.

tribe3Il regista di tutto ciò ha un nome impronunciabile: Myroslav Slaboshpitskiy, classe 1974. Con questo suo esordio al lungometraggio si è aggiudicato il Premio della critica a Cannes 2014, forse meno di quel che avrebbe meritato ma comunque un riconoscimento importante. The Tribe, lo abbiamo detto, è cattivo e sboccato, ma ha una sua logica interna, una geometria fatta di corrispondenze e collegamenti. Siamo dalle parti del cinema d’autore, il cinema d’essai come direbbero quelli che ancora tengono alle sottigliezze, cioè quel modo di raccontare storie che rinuncia alle spiegazioni per preferirvi le allegorie, che abbandona la credibilità per farsi simbolismo irrequieto. Movimenti di macchina calibrati, fotografia fredda come una coltellata, recitazione amputata delle parole, quasi sperimentale. Gli attori sono tutti degli sconosciuti, almeno da noi, ma è sulle loro spalle che si regge questo microcosmo squilibrato ridotto alle pulsioni ataviche: il sesso, il cibo, la vendetta. In fin dei conti è questo che garantisce la conservazione di quell’inutile specie chiamata umanità. Tutto il resto fa da contorno.

Marco Marchetti

The tribe

Regia: Myroslav Slaboshpitskiy. Sceneggiatura: Myroslav Slaboshpitskiy. Fotografia: Valentyn Vasyanovych. Montaggio: Valentyn Vasyanovych. Interpreti: Hryhoriy Fesenko, Yana Novikova, Roza Babiy. Origine: Ucraina/Paesi Bassi, 2014. Durata: 130′.

https://www.youtube.com/watch?v=MzpSD82AlJE

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