I Pardi di Domani
È sorprendente intravedere la possibilità di un fiorente avvenire in pochi minuti di prodotto effettivo. Oggi i cortometraggi della categoria “Pardi di Domani” hanno incontrato un ampio e curioso pubblico che, certamente, all’uscita della sala si sarà detto più che soddisfatto viste le reazioni ai sei corti presentati nel primo pomeriggio.
Gli elaborati, alcuni dei quali frutto di collaborazioni con Francia o Stati Uniti, si sono rivelati una piacevole sorpresa e, insieme, hanno dimostrato quanto la categoria sopracitata possa godere di una qualità difficilmente rintracciabile: l’eterogeneità.
Si parte con D’ombres et d’ailes di Eleonora Marinoni e Elice Meng, che in 13’ portano in scena un progetto d’animazione degno del grande schermo, incentrato sul rifiuto dell’esclusione e della limitazione della personalità. A loro va il primo lungo applauso per il brillante e capace utilizzo di una breve, ma potente sceneggiatura.
Segue Les Monts s’embrassent di Laura Morales, che si presenta con un documentario studiato e ben organizzato sulle miniere d’uranio e sugli effetti che l’estrazione del minerale in questione ha causato nell’area dei Bondons negli anni successivi al 1986. In concorso abbiamo altri due progetti documentari, Ein Ort wie dieser di Philip Meyer e Just Another Day in Egypt di Corina Scwingruber Ilic e Nikola Ilić, ma nessuno dei due – rispettivamente incentrati sul carcere Sedel Luzern e sulla realtà moderna del mondo egiziano – è paragonabile a quanto prodotto dalla Morales che è evidentemente più avanti a livello creativo e ideologico.
Grandi applausi, per concludere, a Samuel Grandchamp, autore de Le Barrage e Carmen Jaquier, direttrice de La Rivière sous la langue. Entrambi questi due ultimi titoli meritano d’essere lodati in primo luogo per scrittura e fotografia – per nulla inferiori agli standard americani – e in secondo luogo per le idee e i significati che queste convogliano. Se il rapporto conflittuale tra padre e figlio portato in scena in Le Barrage appare schietto e intelligente nei metodi con cui articola lo svolgimento dei fatti, La Rivière sous la langue è un film altrettanto interessante, con la sua visione frammentata della personalità femminile dentro e al di fuori del microcosmo familiare, in una rappresentazione di quelle che sono le esigenze riscontrabili nelle diverse fasce d’età dell’essere umano.
Retrospettiva Sam Peckinpah – Wild Bunch
Nell’assolato pomeriggio locarnese del 7 agosto la sala Rex è stata invasa dai più nostalgici amanti di quel Western moderno e rivoluzionario che il regista Sam Peckinpah ha fatto conoscere al mondo nel corso della sua incredibile carriera.
A quarantasei anni dalla prima proiezione originale, il festival del Pardo ha dedicato al regista americano una retrospettiva che ha portato su grande schermo, per la gioia di molti, niente di meno che Il mucchio selvaggio, una pietra miliare nella filmografia americana, nonché punto di svolta essenziale nella carriera del regista suo creatore.
É proprio da Il mucchio selvaggio, di fatti, che ha veramente inizio la frammentazione frenetica del montaggio in stile Peckinpah – caotico e agitato come gli animi dei gringos dei suoi film – ed è sempre da qui che il valore del sangue e del cruento verrà riscoperto come fattore irrinunciabile del genere Western.
La storia della banda di Pike Bishop (William Holden) e dei suoi compagni d’avventura –
Dutch (Ernest Borgnine), i fratelli Gorch (Warren Oates e Ben Johnson) e il giovane Angel (Jaime Sánchez) – non è un semplice racconto di whisky e pallottole vaganti; con Wild Bunch si raggiunge una trasparenza nell’animo dei personaggi che, allora come oggi, risulta più che rara da rintracciare nei film del genere sopracitato, per non parlare di quanto questa pellicola sia anche testimonianza della sperimentazione di una nuova velocità di movimento e di una dinamica del tutto diversa dalle lunghe inquadrature da close-up in primo piano tipiche del Western anni ’60.
Siamo nel 1913, in Texas. Lo scaltro bandito Pike Bishop ha la fama d’essere inafferrabile, ma gli anni della spericolata giovinezza sono trascorsi anche per lui e la vita da fuorilegge e fuggitivo non è più un’opzione valida. La soluzione è un ultimo colpo, un colpo sostanzioso a sufficienza da soddisfare i bisogni di tutti i membri del gruppo e da garantire a Bishop il lasciapassare per una vecchiaia tranquilla.
L’idea è buona e il piano sembra privo di intoppi, ma la banca della ferrovia – vittima prediletta dal vecchio Pike – è protetta da Deke Thornton (Robert Ryan), ex partner e amico dell’acciaccato condottiero del Mucchio che, al soldo dei proprietari della banca, è stato incaricato di proteggere il denaro a cui punta Bishop e di consegnare il suo vecchio compagno d’avventure alla giustizia. L’inaspettato imprevisto e la trappola che ne seguirà saranno i catalizzatori di uno svolgimento narrativo che, come una miccia accesa, diventa più pericoloso man mano che ci si avvicina alla fine. L’ambito bottino della banca non verrà recuperato e i membri del Mucchio si ritroveranno nuovamente in fuga, braccati, senza un soldo e decimati dalla sanguinosa trappola di Deke. Per riparare all’imprevisto Pike cercherà un nuovo colpo, accettando la commissione di un importante furto d’armi statunitensi per conto del leader messicano Mapache, l’assassino del padre di Angel e l’attuale compagno della donna una volta amata. La ricompensa per il nuovo incarico potrebbe sistemare le cose una volta per tutte, ma sopportare il peso del conflitto tra l’accettazione del compromesso fine alla sopravvivenza e il desiderio di vendetta in nome dell’onore è evidentemente troppo per Angel che, condotto dalla furia, verrà portato alla pazzia e alla successiva cattura per aver cercato di truffare il generele Mapache.
Abbandonare un amico a morte certa però, per quanto questi lo meriti, non rientrava nei piani di Pike che, riflettendo sull’imprevedibilità del futuro, si limita ad accettare il presente e la sua fugacità, incitando i suoi compagni a chiudere il capitolo della loro vita tutti insieme, in nome di quei principi che hanno guidato le loro azioni per anni e che, di certo, valgono più di qualsiasi tesoro. Improvvisamente nulla ha più importanza, né la fuga, né il denaro; ciò che importa è recuperare Angel e riunire la banda, una volta per tutte.
Basta un semplice sguardo d’intesa, poi quell’immenso “Let’s go!” rompe il silenzio e l’immortale risposta “Why not!” dà il via all’epocale camminata verso l’ultima avventura del Mucchio.
Le note di quell’indimenticabile colonna sonora che valse l’oscar a Jerry Fielding ci accompagnano negli ultimi momenti, fino ai titoli di coda; poi le luci si riaccendono ed ecco il vero regalo: un pubblico entusiasta e sorridente, che a distanza di quasi mezzo secolo, ancora applaude.
Di certo, sebbene lontano, Bloody Sam avrà apprezzato.
Da Locarno, Mattia Serrago