In estate i Giardini Estensi a Varese sono la sala a cielo aperto di una piccola associazione che è diventata grande con la costanza e la pazienza dei sognatori. C’è chi racconta che ventotto anni fa, alla prima proiezione in esternonotte, spostò lo sguardo in panoramica dal basso verso l’alto per guardare il cielo che si spegneva lentamente, invitando la pellicola a farsi luce. Fu cinema sul cinema: il doppio spettacolo che solo le sale all’aperto sanno offrire, con tutto il corollario di rumori di fondo che sorprendono lo spettatore e il suo film, di zanzare agguerrite fino all’addormentamento da sazietà, di profumi di repellente, di fumi di sigarette (d’altri tempi), di pipistrelli che proiettano ombre vagamente orrorifiche sullo schermo.
Il cinema all’aperto è il luogo dell’imprevisto, degli acquazzoni d’agosto, delle raffiche di vento e delle pieghe sul telo che deformano il volto di Robin Williams e del genio ribelle Matt Demon, ma anche del fresco alito improvviso delle 22.30 dopo la calura persistente. Avventure in mare aperto. Fino a quando i titoli di coda ti riportano al molo e capisci che tutto questo essere cinema è un’esperienza diversa dalle poltroncine in velluto delle sale che pure amiamo e vorremmo tenerci stretti stretti, gelosamente, orgogliosamente, testardamente, nonostante i tempi che cambiano e i nativi digitali.
In uno dei porti navali e mercantili del sud, quando ero un bambino analogico e la pellicola credevo fosse tutta larga 8 millimetri, lo scirocco non ci mollava nemmeno alle 22.30. Nel golfo che fu approdo per le flotte greche molto, molto prima del default, si mercanteggiava ossigeno e si invocava la pioggia. Tutti i santi giorni. Tranne il venerdì e la domenica, quando in via Cesare Battisti c’era il cinema sotto le stelle (a dire il vero sbiadite dai residui volatili della metallurgia). Non era un parco pubblico, non era un ex villa signorile, non un cortile barocco. Semplicemente un parcheggio, un gigantesco parcheggio che veniva attrezzato per l’occasione. Un muro alto color granata era cintura invalicabile con doppia entrata fino alla cassa, con quei biglietti colorati rossi e verdi, interi e ridotti. Via Battisti era una lingua d’asfalto già caotica sul finire degli anni ’70, ma dal balcone al terzo piano di un edificio che di piani ne aveva forse dieci, non ci si faceva caso al traffico: era una poltronissima centrale sul grande schermo e pure gratis. Amici di famiglia. Nessun biglietto verde, nessun biglietto rosso, nessuna fila in cassa. Si guardava il cielo scongiurando la pioggia, si aprivano le finestre dall’altra parte dell’appartamento nella speranza di un filo di vento. Poi cominciava lo spettacolo.
Al cinema all’aperto c’era Piedone. Botte da orbi. Altri tempi.
Alessandro Leone