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Woman in Gold

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Simon Curtis è un regista inglese specializzatosi in pellicole biografiche. Dopo Marilyn (2011) con Michelle Williams, il nostro torna con un film curioso, strano, a tratti surreale come la vicenda da cui è tratto. Pochi conoscono infatti la travagliata avventura del Ritratto di Adele Bloch-Bauer I (la signora dorata del titolo), moglie del ricco industriale ebreo austriaco Ferdinand Bloch-Bauer che nel 1907 commissionò l’opera al pittore Gustav Klimt. La volontà di Adele, che morì di meningite appena quarantatreenne nel 1925, era quella di riconsegnare il famoso dipinto, e altre opere minori che Klimt aveva nel frattempo eseguito per la famiglia, alla Galleria Belvedere di Vienna, dove sarebbero state esposte al pubblico in quanto opere nazionali, di tutti, appartenenti solo ed esclusivamente al popolo. Nel 1938 la Germania hitleriana procedette con la famigerata Anschluss, l’annessione dell’Austria, e i beni dei Bloch-Bauer, collezione compresa, finirono nelle mani dei nazisti. Ferdinand morì esule a Zurigo nel novembre del 1945, non prima di aver designato i nipoti, tra cui una certa Maria Altmann, unici eredi delle preziose tele. Che naturalmente non furono mai restituite ai “legittimi” proprietari, restando ubicate presso la Galleria Belvedere. E qui cominciarono i problemi legali, quelli che Curtis sintetizza con una leggerezza cinematografica quantomeno sospetta. Maria Altmann, che nel frattempo si era trasferita in America, dove morirà nel 2011 all’età di novantatré anni, pretese a gran voce la restituzione del maltolto. L’Austria si oppose fermamente facendo valere la volontà della defunta Adele, almeno fino a quando un rampante avvocato statunitense di origine austriaca (il padre era un giudice, il nonno il compositore Arnold Schoenberg) non trascinò l’Austria in tribunale. La Altmann riottenne il suo quadro, che subito rivendette a un ricchissimo collezionista americano per la cifra record di 135 milioni di dollari.

woman 1Woman in Gold inscena il cosiddetto processo Austria v. Altmann (2004-2006), che vide contrapporsi da un lato l’erede della famiglia Bloch-Bauer (Helen Mirren) e il suo avvocato (Ryan Reynolds), dall’altro le alte eminenze dell’Austria, più che decise a tenersi i famigerati dipinti in quanto espressioni del genio austriaco di Klimt (interpretato brevemente da Moritz Bleibtreu), e come tali meritevoli di restare di pubblico dominio. In realtà l’intento di Curtis, così come il dibattimento che occupa l’ultimo terzo della pellicola, è quello di penetrare nelle memorie di una donna che ha perso tutto, la famiglia, parte delle ricchezze e della dignità, e che ora, a distanza di decenni dalla barbarie tedesca, tenta di rimettere insieme i pezzi di se stessa, della propria vita, delle reminiscenze che sempre la legheranno a quell’epoca terribile. Non è il processo a interessare al regista, quanto ciò che ci sta in mezzo, il dolore, le colpe collettive, il tradimento di quella che si considerava la propria patria e la propria gente, e soprattutto il contraddittorio procedimento di Vergangenheitsbewaeltigung: il superamento del passato che ancora il popolo tedesco non sembra aver affrontato fino in fondo. Woman in Gold è allora un film complesso, strutturato su almeno tre piani spazio-temporali: l’America opulenta ma giusta dell’avvocato Schoenberg che rinuncia al proprio lavoro per assistere a tempo pieno la sua cliente, all’apparenza ignaro delle difficoltà finanziarie a cui andranno incontro moglie (Katie Holmes) e figli; l’Austria occupata dai nazisti, gli eleganti appartamenti degli ebrei costretti alla fuga, le brutalità delle SS, la vita spensierata delle famiglie giudee brutalmente interrotta dalle persecuzioni; l’Austria di oggi, delicata e moderna, della cui grandeur non restano che le vestigia. Fin qui niente di male, ma Curtis abbandona presto l’idea del flusso di coscienza, cioè dei terribili ricordi che sgorgano dal cuore di questa donna tormentata, per fare il furbetto e regalarci un film che, a conti fatti, si riduce alla contrapposizione tra Austria (in)felix e la rettitudine morale degli Stati Uniti.

WOMAN IN GOLDUn conto è la storia, scendere a patti con essa, mantenere il riserbo critico che ogni regista, storico o intellettuale non può non avere in debita considerazione; un conto è invece la sua rappresentazione (di parte), che spesse volte stravolge gli avvenimenti, e che costringe la narrazione alle forzature, alle inesattezze, alle incomprensioni. Maria Altmann, checché ne dica l’interpretazione carismatica, intellettuale e combattiva della Mirren, era e resta un’avida, che antepose l’egoismo della ricchezza personale a quanto l’evidenza, l’attualità e la consuetudine hanno ormai stabilito: Klimt sta all’Austria come Monna Lisa alla Francia e la Primavera all’Italia. E Adele Bloch-Bauer, proprio come da lei stessa precisamente indicato, meriterebbe di tornare alla straordinaria galleria viennese nei cui corridoi spiccano i grandi lavori della cultura mitteleuropea, tra cui l’opera più celebre di Klimt, Il bacio (1907-1908).


Curtis è tanto bravo quanto approssimativo, dirige il suo film come un melodramma classico (e non è un difetto, anzi: tanto di cappello), ma si guarda bene dalla fedeltà all’ovvio. Il testamento di Adele è liquidato in un paio di sbrigative battute (“Se mia zia avesse saputo quello che stava per succedere, secondo lei avrebbe ancora voluto che i suoi quadri restassero a Vienna?”), il desiderio dell’Austria di preservare il proprio patrimonio trasformato in un serraglio di spauracchi incravattati pronti a sputare veleno sugli eredi dei Bloch-Bauer. Il ritratto dell’Austria, che pure ha dato cose bellissime al mondo, finisce per essere quello di un boia spietato, che nega il risarcimento alle sue vittime, che si arricchisce sulle spalle dei disgraziati. Eppure resta una domanda che nessuno pone: perché Maria Altmann, una volta rientrata in possesso dei quadri, non li riconsegnò all’Austria? La battaglia legale era vinta, la memoria della famiglia risarcita, la giustizia ristabilita. Perché non ripristinare anche quella morale?

Marco Marchetti

Woman in Gold

Regia: Simon Curtis. Soggetto: E. Randoll Schoenberg. Sceneggiatura: Alexi Kaye Campbell. Fotografia: Ross Emery. Montaggio: Peter Iambert. Musica: Martin Phipps, Hans Zimmer. Interpreti: Helen Mirren, Ryan Reynolds, Katie Holmes, Moritz Bleibtreu. Origine: UK, USA, 2015. Durata: 110′.

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