Non c’è alcun dubbio sui meriti raggiunti in vita da Stephen Hawking, mente di eccelsa caparbietà e smisurato intelletto. La visione alla quale ci si chiede di assistere convoglia il brillante raggiungimento di obbiettivi umani, ma all’uomo oscuri, illuminati dall’unico vero raggio di sole, la conoscenza. La trasposizione di una biografia sì articolata e complessa, ne siamo coscienti, richiede estrema attenzione e meticolosità perché sia adeguatamente adattata al grande schermo e, di certo, la paura che un simile progetto potesse collassare al pari delle stelle di cui Hawking parla, ci ha sfiorato la mente. Fortunatamente, tuttavia, nessun collasso e, di conseguenza, nessun buco nero.
La regia di James Marsh e la fotografia di Benoît Delhomme sanno interagire correttamente, in una sinergia di forze collaboranti all’unisono, capaci di fornirci inquadrature “immacolate”, semplici alla comprensione dello spettatore e, soprattutto, abili nel permettere uno svolgimento dinamico della narrazione, mai noiosa, mai ripetitiva. Lo sviluppo dei personaggi è calibrato e curiosamente misurato. Ogni interprete rilascia un’interpretazione di vivida colorazione; tutti, nessuno escluso, riescono nell’arduo compito d’essere percepiti come attori primari, essenziali allo sviluppo del filone narrativo. Partendo dalla curiosa attitudine nell’immedesimazione del personaggio di Jane Hawking (Felicity Jones), moglie del fisico protagonista, al ruolo di Jonathan (Charlie Cox), prima amico di famiglia e poi compagno della stessa Jane, la perfezione che gli stessi attori si sono imposti nell’impersonificazione dei rispettivi alterego emerge chiaramente.
Tuttavia, sebbene l’intero collettivo degli interpreti sia stato di rara bravura, è necessario spendere qualche parola per lo stesso Eddie Redmayne (Hawking), una scoperta inaspettata, artefice di un’incarnazione quasi maniacale nell’uomo che era incaricato di rappresentare; a Redmayne vanno i maggiori elogi, per la perfezione – e non esageriamo – con la quale ha saputo ripercorrere i passi di una leggenda in terra.
Sofisticata anche la sceneggiatura (Anthony McCarten) che ha saputo trattare argomentazioni di notevole complessità mantenendosi chiara e aperta alla comprensione dello spettatore medio, premurandosi di omettere ragionamenti di matrice scientifica eccessivamente artificiosi che, quasi sicuramente, avrebbero annoiato l’intera produzione. I dialoghi calzano perfettamente ad ogni singola scena, metabolizzando con sapienza la felicità e la disperazione, momento per momento.
Il film che abbiamo di fronte è un prodotto decisamente singolare, brillante e commovente, capace d’emozionare e riflettere su una serie di tematiche poco toccate nell’odierna quotidianità. Non esageriamo, pertanto, spingendoci ad affermare che questo preziosismo cinematografico ha saputo riassumere speranza e conoscenza come pochi film hanno saputo fare, lasciandoci nel cuore un sentimento di concreta e pura rivalsa, la rivincita di un uomo sulla vita, la vittoria del volere sul potere.
Mattia Serrago
La teoria del tutto
Regia: James Marsh. Sceneggiatura: Anthony McCarten. Fotografia: Benoît Delhomme. Montaggio: Jinx Godfrey. Interpreti: Eddie Redmayne, Felicity Jones, Charlie Cox, Emily Watson, David Thewlis, Harry Lloyd, Maxine Peake. Origine: Regno unito, 2014. Durata: 123′.