Inverno 1917. La Grande Guerra sta volgendo al termine, con il suo strascico di morti e interrogativi esistenziali. I suoi attori tuttavia, che forse sarebbe meglio chiamare “comparse”, non lo sanno ancora. Ognuno dei soldati, infatti, quantunque in balia del gelo, delle malattie e dello sconforto per l’insopportabile stallo militare raggiunto, lotta pervicacemente per mantenere la posizione sull’altopiano, tra silenzi e solitudini soffocanti che, di fatto, preannunciano l’imminente colpo di coda del nemico austriaco. A mortificare ulteriormente l’umore della truppa contribuisce l’arrivo di due giovani ufficiali dalle retrovie, recanti ordini dall’Alto Comando. Le nuove direttive rivelano disposizioni così incoerenti e crudeli da alimentare la disaffezione dei militari, non solo nei confronti della causa patriottica, ormai chimera lontana, ma della stessa vita, inducendo taluni a preferire il suicidio, piuttosto che sottomettersi agli ordini dello Stato Maggiore. Più che il nemico appostato oltre il filo spinato, i soldati che Ermanno Olmi mette in scena stanno ormai combattendo una guerra personale contro se stessi, contro un’identità avvertita sempre più come evanescente, precaria, aggrappata alle sbiadite righe d’inchiostro recanti nomi e cognomi sulle lettere sgualcite di mogli e fidanzate, o alle appassionate dediche a margine delle fotografie ingiallite, ultime testimonianze di una memoria rubata, che il regista bergamasco, con quel filologico gusto per i dettagli che da sempre lo contraddistingue, fa passare sullo schermo con sinestesico effetto sullo spettatore.
Detto ciò, l’ultima fatica di Olmi non manca di evidenziare alcuni limiti narrativi tipici del Cinema italiano, che fanno di Torneranno i prati un buon film, ma non un capolavoro, a cominciare dell’eccessiva verbosità dei testi, che a più riprese, dall’uso reiterato della voice over – mal dissimulato da forme teatralizzanti di soliloquio – agli sguardi diretti in camera, finiscono per sovrapporsi all’apprezzabile gioco di sguardi dei personaggi e alla bella fotografia di Fabio Olmi, bravissimo nel mettere il proprio talento al servizio dell’irrisolta dialettica tra lo splendore paesaggistico degli spazi notturni esterni e la claustrofobica atmosfera della trincea. A ciò vanno ad aggiungersi alcuni fastidiosi rimandi a celebri opere cinematografiche del passato che, lungi dal produrre quell’effetto di colto compiacimento per la citazione, contribuiscono a evidenziare alcune sconvenienze narrative – si pensi alla commozione della truppa nell’ascoltare il canto del soldato napoletano, inserito da Olmi all’inizio del film, senza un evento pregresso che provochi la reazione emotiva auspicata, al contrario di quanto avviene invece in Orizzonti di gloria, sulla melodia di Der treue husar, cantata, solo nel finale, dall’impaurita cameriera della locanda, a seguito di un’intenso succedersi di eventi. Qualche malizioso potrà forse obiettare che Olmi non è Kubrick e che, men che meno, Santamaria o Alessandro Sperduti sono Kirk Douglas. Ma in gioco non v’è tanto il talento registico o attoriale in sé, quanto un’inclinazione tipicamente melodrammatica e didascalica dalla quale il cinema nostrano fatica a prendere le distanze, da cui deriva un inevitabile irrigidimento, sia della narrazione sia della recitazione.
Quando si riaccendono le luci in sala si è perciò presi da una sensazione di disagio, di smarrimento, di soddisfazione a metà. Ma probabilmente è proprio questo l’effetto al quale Ermanno Olmi mirava: innescare un senso di straniamento, di disorientamento, il medesimo prodotto dalla progressiva spersonalizzazione cui sono soggetti i personaggi sullo schermo.
Se c’è un merito, infatti, riconducibile a Torneranno i prati è di aver trasceso il contesto storico della Prima Guerra Mondiale, ponendo al centro della riflessione il processo di disumanizzazione insito nelle logiche totalizzanti di tutte le epoche, al di là di anacronistiche elucubrazioni di stampo moralistico o storicistico.
Manuel Farina
Torneranno i prati
Regia e sceneggiatura: Ermanno Olmi. Fotografia: Fabio Olmi. Montaggio: Paolo Cottignola. Musiche: Paolo Fresu. Interpreti: Claudio Santamaria, Alessandro Sperduti, Andrea Di Maria, Francesco Formichetti. Origine: Italia, 2014. Durata: 80’