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Berlino 64: prima giornata di concorso

’71 di Yann Demange è stata la bella sorpresa della prima giornata del concorso di Berlino. L’opera prima del regista franco-inglese racconta un episodio nell’escalation della guerra in Nord Irlanda nel 1971 nelle sue specificità e nella sua universalità. E’ la storia della giovane recluta Gary, che dopo 71l’addestramento e aver salutato il fratellino che vive in un istituto, è mandato a Belfast dove sono in corso disordini. Neanche il tempo di capire la mappa e la divisione della città che i nuovi arrivati sono mandati per strada. Una perquisizione e una protesta precipitano in uno scontro e Gary e un commilitone restano isolati dal plotone, in mezzo ai più facinorosi. Il compagno è colpito a morte, mentre Gary, pur ferito, riesce a far perdere le tracce e trascorrere una nottata in una città che non conosce cercando di salvarsi.
Un film dove non tutti i passaggi si capiscono – in questo ricorda Shadow Dancer di James Marsh con Clive Owen (stessa ambientazione, in concorso nel 2012 alla Berlinale) – e spesso non è chiaro da che parte stanno i protagonisti. Più che una pecca del film, forse la conseguenza di una situazione difficile da decifrare. Dall’esterno sembrava uno scontro tra cattolici e protestanti, con l’esercito britannico schierato con questi ultimi. Nella realtà entrambe le parti avevano gruppi paramilitari, infiltrati e bande rivali: quasi ogni strada era in mano a una gang con un leader ambizioso che contendeva il comando ai vicini. Scontri intestini dentro la guerra grande. E’ in questo inferno che cerca di salvarsi Gary. Anche i bambini, come Billy che lo accompagna per un tratto, sono abituati alla battaglia, sono cinici, freddi, sanno maneggiare le armi e sono pronti a tutto: non a caso molti membri delle bande in azione sono giovanissimi. Demange gira in modo adrenalinico, svelto, tiene alta la tensione, rovescia continuamente il campo e la prospettiva, sceglie le facce giuste. Ne esce per intero l’assurdità della guerra, dove c’è chi soccorre il “nemico” ma è tradito dai suoi e gli aspiranti guerriglieri sono messi alla prova nello sparare a freddo.

In Jack, del tedesco Edward Berger, il bambino di 10 anni del titolo è costretto a occuparsi del fratellino Manuel perché la giovane madre Sannajack è troppo presa dai suoi amanti e li trascura. Spesso li abbandona anche, seppure in alcuni momenti regala slanci di grande affetto. Jack è mandato in un istituto ma anche là non si perde d’animo. Grande delusione quando, all’inizio delle vacanze estive, la madre non va a prenderlo: il ragazzino fugge ma di Sanna nessuna traccia. La ritrova dopo giorni di vagabondaggi. Ricomparendo dice di aver trovato finalmente l’uomo giusto per lei. Un film che vorrebbe essere alla Dardenne, ma senza averne tutta la forza dello sguardo e del racconto; il protagonista Ivo Pietzcker è così giusto ed energico da trascinarsi dietro la storia e il film. Il risultato è un’opera prima buona ma non del tutto convincete.

Un po’ troppo sul già visto La voie de l’ennemi di Rachid Bouchareb, girato bene, con immagini del New Mexico e del muro di separazione tra Usa e Messico molto belle, a rendere il paesaggio un vero personaggio. William Garnett (Forest Whitaker) è un condannato a 18 anni per aver ucciso un poliziotto, che viene rimesso in libertà condizionata quando mancano tre anni al completamento della pena. Gli viene trovato un lavoro in una fattoria sul confine, nonostante lo sceriffo (Harvey Keitel) non abbia dimenticato l’uccisione del suo vice. Garnett, fervente musulmano che prega sempre rivolgendosi alla Mecca, non vuole altro che rifarsi una vita e si innamora di una donna d’origine messicana. Le circostanze non sono dalla sua parte. Bouchareb, che alterna lavori interessanti ad altri meno riusciti, prova a innervare temi nuovi su situazioni note ma fatica a staccarsi dal risaputo: un film corretto ma senza grande forza, nonostante l’impegno degli attori, Whitaker e Blethyn su tutti.

da Berlino, Nicola Falcinella

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